mercoledì 1 febbraio 2012

Il Grammofono

Allora come sto? Forse se sistemo questa piega sulla giacca.. e abbottono il polsino della camicia bordeaux…ecco fatto. Meglio con la cravatta o senza? Proviamo. Complicati questi nodi: ma fa tutto un altro effetto. Sembro molto più elegante, mano in tasca, petto fiero, quasi di profilo << Buonasera Signorina! >>. Oddio! chi uscirebbe con uno come me, perché? Forse è meglio che tolgo la cravatta. Mi siedo a piedi del letto ed inizio ad agitarmi. Mi rialzo. Torno a guardarmi allo specchio: profilo destro, profilo sinistro, una scapigliata ai capelli, faccio luccicare le scarpe nere, mano in tasca e << Buonasera Sig..ehm ehm..>> meglio schiarire la voce << EHM…Buo..MMM...Buonasera…Signorina! >>  non va bene! troppo serio e formale. Mi siedo di nuovo, stavolta affranto. Non credo riuscirò mai a fare una buona impressione. E se non andassi all’appuntamento?
Forse sono stato troppo avventato a chiederle di uscire, non sono sicuro mi piaccia poi così tanto..sì, è carina, ma niente di che. Intanto tolgo la giacca e la sistemo sul letto, a metà, con la parte bassa che penzola. Sbottono il colletto della camicia, la mia preferita, la tiro fuori dai pantaloni e mi metto scalzo. Vago su e giù per la stanza, lentamente, con i calzini a strisce che solleticano il tappeto. Arrivo sbadatamente per la terza volta allo specchio, di profilo, per la terza volta. Le mani solitamente in tasca, annoiate. Sto meglio in queste condizioni. Anche i vestiti assumono il mio atteggiamento, quello naturale: sbadato, trasandato, irregolare, fuori dalla norma; infondo chi sceglie la norma? Chi dice che presentandomi in queste condizioni, magari anche scalzo se non fosse scomodo guidare e  camminare sull’asfalto, farei una brutta impressione? Sono così. Ho quest’aspetto. Mi accetto, mi va bene. E poi a me non va di far colpo su nessuno solo per essere stato, per una sera, elegante, raffinato, gentilissimo.
L’ho conosciuta all’ingresso del negozio in cui lavoro. Mi colpì il modo in cui spostava, imbarazzata i suoi morbidi capelli dietro l’orecchio, accennandomi un sorriso, chiedendo << Permesso >>
<< Prego >> cedetti il passo, distratto per essermi piazzato proprio davanti la porta. Ne entrano tante di ragazze nel negozio della signora Lucia ma, forse perché quel pomeriggio non c’era molto da fare, ed aspettavo qualcosa di sorprendente che scuotesse il tempo per affrettarlo, ella riuscì a prendere parte nei miei pensieri per un po’ di tempo, giusto quello in cui la osservavo studiare gli oggettini, e riporli delicatamente al loro posto. Quando ebbe pagato, si avviò alla porta, che stavolta avevo occupato apposta, a gambe divaricate  << Le andrebbe di uscire? >> .
Ecco così su due piedi, avrebbe detto di no. E così fu. Allora come è possibile che questa sera ho un appuntamento con questa ragazza? Al negozio passò dopo una settimana, e poi tre giorni dopo, e poi due giorni dopo, e poi il giorno seguente; finché per una scusa o per un'altra, per prendere questa o quell’altra cosa, la sua fu una visita giornaliera.
Passò qualche mese e precipitandomi prepotentemente davanti alla porta le riproposi: << Le andrebbe di uscire? >>, avevo un sorriso da ebete, facevo tenerezza, forse è per quello che dopo essersi fatta una grossa risata, nascosta da una mano, scosse la testa sorridendo in segno di negazione ma accettò << Volentieri! >>.
Sospiro. Per radio inizia una musica, decisamente vecchia accompagnata dal segnale disturbato che mi distrae dal decidere di cosa fare di questa serata. Mi avvicino. Il segnale si fa sempre più disturbato, intricatissimo e stonato. La pioggia di fuori che picchia sulla mia finestra è preannunciata da un forte tuono, prima ancora da un lampo che illumina di dentro tutta la stanza. Forse è per il maltempo che non riesce a trovare la giusta frequenza. Quand’ecco che la radio diventa un vecchio grammofono di legno. La musica anni ’40 si fa più intensa e fuoriesce alta. Mi ritrovo di fronte all’asta di un microfono, quasi spaesato, una luce gialla e tonda m’illumina e sono al centro della scena. Di fronte un pubblico è seduto tra i tavolini tondi, che consuma coppe di champagne. Il sassofonista dietro di me mi fa cenno col capo. La mia voce, incontrollabile inizia a cantare intensamente e con passione, una canzone jazz le cui parole inglesi “ I love you, so much love you…always ” sono rivolte alla donna che mi siede davanti. Elegante, raffinata, composta, fine. E’ la mia Irene. Irene, Irene che ho sempre amato e che non ho mai incontrato. Anche il suo volto è in ombra, ma riesco a percepire quello che prova per me, quello che vorrei provasse, le cure che mi offre, le attenzioni nobili che non posso altro che ricambiare dedicandole ad occhi chiusi “ I love you, so much love you…always “. 

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